Storia del teatro: approfondimento sulla tragedia greca. Spazio e tempo.

SPAZIO E TEMPO

Se la nozione di scena circoscrive l’orchestra e il logheion, cioè lo spazio ben visibile dagli spettatori, quello di spazio extrascenico individua i luoghi da cui gli attori provengono o con cui stabiliscono relazioni durante la loro assenza dalla scena. A far da tramite tra le due aree sono le esodoi (spazio mimetico il primo, spazio diegetico il secondo). Una sorta di intersezione è costituito dall’edificio della skené, che raffigura per lo più un palazzo o un tempio. Un uso sapiente degli spazi può contribuire non poco a determinare la configurazione di una tragedia e a metterne in risalto particolari linee di significato. Nelle Baccanti, tutta la tragedia è giocata su un’opposizione spaziale che riflette nel profondo l’inconciliabilità tra due mondi in conflitto. E, al termine, dominatore assoluto non può essere che il dio. Per Agave, che posseduta dal delirio bacchico ha ucciso e dilaniato suo figlio, e per il vecchio padre Cadmo non v’è più posto a Tebe. L’inesorabilità della sconfitta ha il suo emblematico suggello nell’esodo: i due abbandonano fisicamente la scena per un esilio che li separerà e risulterà perciò ad entrambi ancora più doloroso. Nell’Edipo re alla dialettica delle coordinate spaziali si affianca una tensione di ordine temporale che si concreta in una serie progressiva di flash-back volti ad alimentare la climax drammatica. E ad agire contro il potere è, seppur inconsapevolmente, colui che lo detiene. La verità è nel palazzo, ne è depositario lo stesso Edipo,, ma perché essa affiori e risulti chiara alla coscienza del sovrano occorre che depongano testimoni che rappresentano quel passato che illusoriamente egli crede di poter utilizzare per fugare ogni dubbio sul suo conto. 
Lo spazio scenico può aver significato anche solo di per sé: può, cioè, avere una funzione connotativi, introdurre o dare enfasi al tema della tragedia o addirittura essere lo specchio del protagonista. La durata media della rappresentazione di una tragedia doveva oscillare tra le due e le tre ore. Il tragediografo aveva l’obbligo di rispettare rigorosamente i tempi dello spettacolo scenico. I poeti, per risolvere il “problema tempo”, collocarono negli antefatti della tragedia e poi richiamarono nei discorsi dei personaggi e nei canti del coro tutto ciò che potesse servire a dare allo spettatore le coordinate necessarie per inquadrare l’azione tragica nella più complessiva trama del mito tradizionale. E ancora, inserivano nel continuum della rappresentazione delle pause o delle cesure volte a creare una discontinuità nel flusso temporale del racconto scenico. La funzione che il canto corale assolve, di articolare e distinguere in diverse fasi lo svolgimento della tragedia, è una delle convenzioni più importanti del teatro greco. La tecnica con cui più frequentemente i tragediografi si sforzano di adattare una storia narrata dal mito alle esigenze di uno spettacolo unitario ed insieme conciso è quella della compressione o accelerazione degli eventi. Ad illustrazione di questo procedimento citeremo la modifica apportata al mito di Edipo da Sofocle nell’Edipo re. Egli identifica il servo che fu testimone dell’uccisione di Laio con colui che aveva esposto Edipo sul Citerone, riunisce egualmente in una sola persona il messo venuto ad annunciare la morte di Polibo e il pastore che aveva raccolto il neonato, e fa incontrare le due figure dinnanzi allo stesso Edipo, riuscendo così a far convergere in un unico decisivo momento, quello scioglimento del nodo drammatico, le diverse linee della storia del personaggio. L’operazione appare così ben riuscita e la compattezza della trama è tale che difficilmente gli spettatori si saranno soffermati a ragionare su un particolare che invece Aristotele da attento lettore e critico, censura come illogico: il fatto che in tutti i lunghi anni del suo matrimonio Edipo non abbia mai chiesto a Giocasta in che modo fosse morto Laio.
Nella Poetica di Aristotele l’unità dell’azione è uno dei capisaldi della teoria della tragedia così come di qualsiasi altra opera di mimesi letteraria. Su di essa il filosofo insiste a più riprese. Ma al filosofo una lunga quanto infondata tradizione ha attributo, oltre alla definizione del criterio dell’unità d’azione, anche la formulazione di due altri celebri postulati o “principi”: quelli dell’unità di tempo e dell’unità di luogo. In realtà dell’unita di luogo Aristotele non parla mai. E’ tuttavia vero che le tragedie superstiti ci mostrano che essa era rispettata: in quasi tutte, infatti, la vicenda si svolge, dal principio alla fine, in un unico luogo senza che intervengano mutamenti di scena. Nel capitolo quinto della poetica Aristotele dedica un cenno anche alla durata dell’azione drammatica. Lo fa nel contesto di una comparazione tra la tragedia e l’epica:
 I limiti temporali che il filosofo enuncia andranno riferiti esclusivamente all’azione scenica in quanto tale. Essa di norma dovrà abbracciare non più di una giornata; in casi particolari, tuttavia, potranno essere rappresentati anche eventi relativi ad una seconda giornata. Ma Aristotele non dice assolutamente che debba trattarsi di due giornate consecutive: al contrario, le due giornate potranno collocarsi anche a notevole distanza l’una dall’altra.


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