INDICAZIONI DI REGIA, DIDASCALIE SCENICHE, SCENOGRAFIE
VERBALI.
Il testo composto dai
tragediografi non forniva in modo esplicito e sistematico indicazioni relative
alla messa in scena e alla gestualità degli attori. Gli spettatori non avevano
a disposizione un “libretto” che facesse loro da guida durante lo spettacolo.
Solo in rarissimi casi i testi dei drammi a noi pervenuti sono provvisti di
notazioni didascaliche. Che queste indicazioni del tutto sporadiche risalgano
davvero agli autori è assai dubbio. In ogni caso le tragedie ci documentano, in
maniera regolare e costante, il ricorso ad una prassi informativa ben diversa:
tutto ciò che serve a dirigere e coordinare il movimento degli attori e a
permettere agli spettatori una piena intelligenza della performance drammatico
è integrato direttamente nel testo. Solo una parte di operazioni e di movimento
ha trovato trascrizione nel testo, per la comprensibile ragione che il poeta
non aveva bisogno di descrivere quello che gli spettatori potevano agevolmente
vedere con i propri occhi. D’altra parte almeno fino alla fine del V secolo il
tragediografo fu di norma anche il regista del dramma che veniva rappresentato.
Al lettore moderno può persino accadere di apprendere solo in una diversa e più
avanzata fase della tragedia quale fosse l’esatta configurazione di una scena
precedente. Non mancavano tuttavia situazioni in cui i movimenti da eseguire
potevano risultare particolarmente complessi o in cui la dinamica della scena
poteva richiedere una speciale cura: è qui che il poeta aveva bisogno di
inserire nel testo le opportune indicazioni di regia. Un caso del tutto
speciale in cui un’indicazione registica poteva rendersi necessaria anche per
gesti molto elementari è rappresentato dalla utilizzazione dei bambini in
teatro. Quindi la notazione di regia è quasi sempre abilmente inserite nelle
pieghe del tessuto drammatico, sì da apparire perfettamente intonata alla
specifica situazione scenica. Occorre peraltro guardarsi dal rischio di cercare
intenzioni didascaliche anche dove esse non sono. E’ il caso della minuziosa e
spesso martellata descrizione dei gesti che accompagna le scene di supplica o
di manifestazione del lutto: l’insistenza con cui vengono elencati i movimenti
risponde assai meno all’esigenza di dirigere e scandire la gestualità degli
attori che non ad una finalità di sottolineatura patetica, del resto presente
nei rituali stessi che lo spettacolo tragico mutua dalla vita reale.
Considerazioni analoghe si ripropongono anche per il rilievo dato all’incedere
a stento e con fatica di molti personaggi anziani: i particolari tendono per lo
più a mettere in evidenza la precarietà delle loro condizioni fisiche e non
sono necessariamente istruzioni di regia. In generale la presenza di didascalie
registiche è più numerosa nelle tragedie di Euripide che non in quelle di
Eschilo e di Sofocle. Aristotele in più punti della Poetica afferma decisamente il primato della lexis sull’opsis: il
tragediografo dovrà concentrare tutte le sue cure nel risolvere la dimensione
visuale nel messaggio verbale, sì da dotare la tragedia di una sua piena
autonomia semantica anche solo alla lettura. L’esperienza del Buchdrama (testo
non per la rappresentazione) preme ormai alle porte. Se si eccettuano le
cosiddette rheseis prologiche, in cui l’autopresentazione era in un certo senso
obbligata, raramente i personaggi si presentano da soli. Nel successivo
sviluppo del dramma l’arrivo e l’identità di un nuovo personaggio sono
annunciati di norma solo quando sulla scena siano a colloquio due interlocutori.
Questi annunci riguardano tanto gli attori che facevano il loro ingresso
attraverso le esodoi, quanto quelli che provenivano dall’edificio rappresentato
dalla skené. L’indicazione relativa al luogo dell’azione scenica ci appare
realizzata secondo modalità non diverse. Il poeta si preoccupa di inserire tale
informazione nel discorso del personaggio che apre la tragedia. Un esempio è
dato dalle prime parole di Kratos nel Prometeo:
Osiamo giunti all’estrema plaga della
terra, alla spopolata e deserta landa della scozia[…]
L’orizzonte entro il quale i
personaggi agiscono non è soltanto quello ristretto, del luogo simboleggiato
dell’orchestra: convenzionalmente essi sono in contatto con lo spazio
extrascenico adiacente, sì che possono osservare luoghi che lo spettatore non
vede e ascoltare suoni e rumori che lo spettatore non percepisce. Il caso più
emblematico del condizionamento rappresentato dalla maschera si registra nelle
scene in cui un personaggio piange. Anche qui dobbiamo supporre che fosse
essenzialmente la parola a supplire un’informazione che la scena non poteva
dare, per cui il pianto è costantemente dichiarato o da colui stesso che piange
o da altro personaggio presente in scena. La “parola scenica” ha la funzione di
integrare il messaggio della scena all’interno di un quadro che assume la scena
stessa come elemento di riferimento obiettivo. L’illusionismo antirealistico è
estraneo a questo tipo di drammaturgia ed i poeti compiono ogni sforzo per
evitarlo. Il poeta tragico cercava di attenuare l’effetto antinaturalistico
delle indicazioni riferite alla notte, facendo coincidere la scena notturna con
l’inizio delle rappresentazioni, inizio che, all’epoca delle Grandi Dionisie,
doveva cadere subito dopo l’alba, quando le tenebre della notte si erano appena
dileguate. Ed è parimenti significativo che nelle tragedie a noi note l’azione
notturna riguardi solo la prima parte del dramma: per il resto le vicende
sceniche si svolgono di giorno. Unica rilevante eccezione, quella del Reso, la cui ambientazione totalmente
notturna è peraltro fortemente sottolineata a più riprese nel corso della
tragedia: proprio questa ossessiva insistenza induce a ritenere che si
trattasse di un’ardita innovazione e che come tale l’autore intendesse
segnalarla al suo pubblico. Il configurarsi dei rapporti spaziali tra gli
attori sulla scena e il loro valore comunicativo, è l’ambito di ricerca i cui
si interessa una scienza relativamente recente, la prossemica. La collocazione
delle figure nello spazio scenico ha sempre un valore semioticamente pregnante.
Pur se dal testo delle tragedie non ci viene nessuna indicazione diretta sulla
posizione degli attori, siamo autorizzati a credere che l’acuirsi della
tensione trovasse un’adeguata traduzione visiva a livello di rapporti
prossemici, con una dinamica di avvicinamento dell’uno all’altro che nel codice
spaziale dei Greci del V secolo doveva essere percepita in termini di
intenzione aggressiva ed ostile.
Nessun commento:
Posta un commento